A fine pomeriggio Cesarino era uscito dal giardino della casa in Italia, in quel momento era in vacanza con la sua umana.
Era l’inizio dell’autunno, fuori iniziava a fare buio prima, l’aria era bella fresca ed era un ottimo momento per andare in giro per una nuova esplorazione: c’era una stradina molto interessante lungo il canale e il piccolo corso d’acqua era sempre pieno di pesci.
Cesarino non era uno stupido, anche se gli sarebbe piaciuto un bel bocconcino pre-cena non si sarebbe mai tuffato, la sponda era troppo alta e ripida, non sarebbe poi riuscito a risalire. Cercando quindi un punto dove l’argine fosse più basso per potersi mettere a pescare, percorse un bel pezzo di sentiero e non si accorse che si era molto allontanato da casa, mai come aveva fatto fin’ora.
Finì per trovarsi in un quartiere di belle case, ben curate, col canale che scorreva placido accanto. Lasciò perdere la pesca e decise di procedere in perlustrazione: era sempre molto interessante scoprire cose nuove. Iniziò da una grande area verde tra il canale e le case, un campo abbandonato con l’erba incolta, ma bisognava stare attenti: quella poteva essere la zona di qualche altro gatto e magari non tanto socievole, o peggio, di una banda di gatti.
Si mise quindi in posizione di sopralluogo (orecchie tese, occhi ben aperti, pancia bassa, coda come bilanciere) e procedette lento, a passi felpati come solo un gatto sa fare.
Il luogo era davvero interessante, tanti odori che si intrecciavano nelle narici e altrettante immagini da registrare, un misto di erba fresca, terra bagnata e odori casalinghi provenienti dalle abitazioni; proprio una bella scoperta.
Improvvisamente il sesto senso di Cesarino si mise in allerta, c’era qualcosa che non andava e il gatto si appiattì e immobilizzò come una statua di sale restando in osservazione.
E il sesto senso felino non tradisce mai, infatti poco dopo riuscì a individuare, a pochi metri, un paio di occhi gialli luccicanti che lo fissavano intensamente con aria bellicosa.
Cesarino sapeva che potevano indicare guai grossi, doveva giocare d’astuzia e iniziò col fare, molto lentamente, un passo indietro.
«No, no, tranquillo, non voglio problemi! Non sono di qui e non ci voglio rimanere!» disse Cesarino continuando a indietreggiare cautamente attendendo una risposta. Dal tono della replica avrebbe capito se sarebbe seguita una rissa, dove ne avrebbe guadagnato sicuramente qualche graffiata, o se c’era la possibilità di aprire un dialogo e magari ripartire indenne. Ma la risposta si faceva attendere: nessuna reazione dall’avversario che invece continuava a fissarlo.
Cesarino non sbatteva le palpebre e ricambiava lo sguardo.
«Vedi, me ne sto andando, vado per la mia strada as we wind on down the road / Our shadows taller than our soul, capito? » e si morse la lingua, non sapeva nemmeno perché gli venne da canticchiare quella canzone, ma fu l’ispirazione giusta.
«Tanto per iniziare io sono “tranquillA”» rispose una voce bassa. «Secondo, cosa ci fai qui, nel mio territorio? Terzo, cos’è questo tuo orribile accento? Infine, com’è che conosci quella canzone dei Led Zeppelin?»
Cesarino rimase senza parole. Quindi di fronte a sé aveva un micia, una bella gattina bianca con delle pezzature tigrate grige, un nasino rosa e degli enormi occhi gialli circondati di nero, come se fosse finemente truccata. Ma la cosa sorprendente era che la gatta aveva riconosciuto la canzone da quell’unica frase che aveva accennato.
«Scusa! Tutta acquattata come sei non ho avuto modo di vedere che sei una ragazza. Eh sì, sono d’origine francese, per questo ho la R moscia; te l’ho detto, non sono di qui, sto solo facendo un giretto, non voglio occupare la tua zona e ora me vado ora. E poi sì, mi hai spaventato, pensavo che avremmo finito per azzuffarci… sarà stato un colpo di stress e non so come mi è venuta in mente quella canzone e senza volere l’ho miagolata.»
Ora tutti e due i gatti avevano preso una posizione meno rissosa, erano seduti in mezzo all’erba a poca distanza e si guardavano studiandosi.
Fu lei a rompere il silenzio: «Sei stonato.»
Seguì una risata di tutti e due e a partire da quel momento si rilassarono perché sapevano che il pericolo di una baruffa era scampato.
«Sono Cesarino, veramente sono metà francese e metà italiano, sono qui in vacanza e per davvero stavo facendo solo un giro, volevo vedere questa zona, sembra interessante.»
«Io sono Isobel, abito in una di quelle case con il mio umano, ma preferisco stare fuori.»
Cesarino capiva perfettamente, anche lui preferiva stare fuori. Approfittando del dialogo che sembrava aperto osò porre qualche altra domanda.
«Perché preferisci stare fuori, il tuo umano non è gentile? Forse non ti dà abbastanza crocchette o peggio ti maltratta? Magari in casa ci sono dei bambini che ti tirano la coda o le orecchie? Come sei finita qui? Se ci stai male con l’umano puoi sempre andartene…»
Isobel sorrise «Quante domande curiose!» ma la gatta ora era di buon umore, quello straniero dalla pelliccia rossa aveva l’aria simpatica e poi… conosceva i Led Zeppelin!
La micia accettò di raccontare la sua storia e s’incamminò.
«Se vuoi ti faccio fare un giro per il mio quartiere, è carino qui: c’è questo bel campo dove si può fare un po’ di caccia, il canale è perfetto per la pesca e gli abitanti delle case sono tutti abbastanza cordiali, ogni tanto riesco a fare doppia cena dalle vecchiette dopo aver mangiato dal mio umano. Vieni, andiamo.»
Cesarino era davvero contento: un attimo prima aveva rischiato una zuffa e adesso camminava tranquillamente con una nuova amica! Partendo da casa aveva avuto proprio una bella idea: se non avesse preso il sentiero del canale non sarebbe mai arrivato là e non avrebbe mai fatto questo incontro! Questa poteva essere una di quelle avventure da raccontare.
I due si avviarono serenamente tra l’erba alta alla volta delle case.
Isobel era una bella gattina più o meno coetanea di Cesarino, anche lei era di razza europea. Il suo pelo lucido era segno di una buona alimentazione, era di stazza piccola e sembrava agile come ogni felino dovrebbe essere. Mentre passeggiavano Isobel le faceva da guida, accompagnava Cesarino per il quartiere tenendo al coda ben dritta e i baffi in allerta per ogni eventualità, gli mostrava gli spiazzi interessanti dove riposare indisturbati, dove poter miagolare in cerca di un pezzo di prosciutto, e soprattutto gli indicava i cancelli dove vivevano i cani prepotenti da cui stare lontani.
Intanto che girovagavano Isobel si lasciò andare ai ricordi del passato.
Non sapeva precisamente quello che c’era “prima-prima”, era piccola. Aveva memoria dei suoi fratellini e della sua mamma nascosti chissà dove in un luogo umido e rumoroso. Lei era sempre stata una di quelle che partiva in esplorazione nonostante le ammonizioni della mamma e una sera era uscita dal nascondiglio per inseguire un odore e poi non è più stata capace a tornare indietro. Dove si era ritrovata c’erano troppe tracce per poter tornare al nido e troppo buio per riconoscere il percorso a vista. Era spaventata, aveva freddo e non sapeva più cosa fare, si vedeva ormai persa.
C’era una strada là vicino e anche se sapeva che era pericoloso avvicinarsi perché poteva farsi investire da un’auto, ci si accostò sperando di poter riconoscere qualcosa aiutandosi dall’illuminazione dei lampioni.
Si avvicinò, piano, con il terrore nelle orecchie sentendo il rombo delle macchine che passavano veloci sull’asfalto, miagolava forte nella speranza che la sua mamma la sentisse.
Tutto a un tratto una macchina rossa si fermò, i fari quasi l’accecarono. Vide una sagoma scendere dalla vettura ma non poté distinguere bene le forme, se non quella di un omone grande dai capelli lunghissimi.
Sua madre l’aveva messa in guardia sugli umani, che possono essere pericolosi e cattivi, possono essere molto crudeli con gli animali ed è meglio starne alla larga. Non fece in tempo a mettere insieme un pensiero che si sentì afferrare delicatamente e sollevare da terra. Quello sconosciuto, che ora l’aveva presa in braccio e se l’era portata al petto, la stava già accarezzando dolcemente sulla testa. Cercò di sferrare un paio di zampate, ma non erano molto convincenti. Il tepore di quell’abbraccio, il battito del cuore dell’umano, la delicatezza con cui le sfiorava la testa, la gattina ne fu sopraffatta e si lasciò andare.
“Non è così male questo umano” pensò lei “forse mi toglierà dai guai”.
«E tu? Da dove sbuchi fuori? Non sai che è pericoloso stare sulla strada?» disse l’umano « Cosa ci faccio con te adesso… sei qui da sola? Dov’è la tua mamma?»
Silenzio, mentre qualche macchina sfrecciava sulla strada.
«Mica posso lasciarti qui! No eh, troppo pericoloso! Vuoi venire con me?»
«Miao»
Non era una gatta di molte parole con gli umani, ma quel “miao” era stato sufficiente per capirsi.
Fu così che l’umano, senza pensarci troppo, risalì in macchina con la gattina in braccio.
Ma come fare ora per arrivare a casa? Non poteva certo lasciare a spasso un gatto dentro l’auto mentre lui guidava, e non disponeva certo ti un trasportino…
Guardandosi intorno, cercava qualcosa, qualunque cosa dentro la macchina potesse essere utile in quel frangente. L’umano ebbe un lampo di genio: frugò rapidamente nel sedile posteriore e prese un pandoro (aveva appena fatto la spesa), lo aprì, rimise il dolce nel sedile posteriore e tenne la scatola dove accomodò dentro la gattina che a sua volta sistemò nel sedile passeggero.
Certo, non era la soluzione ideale, ma per l’occasione andava più che bene.
Partirono quindi verso casa e per tutto il viaggio l’umano tenne una mano sul volante dell’auto e l’altra dentro la scatola accarezzando la testa della gattina che ringraziava con sonore fusa.
«Ecco, questa è la storia di come sono arrivata qui» disse Isobel.
«Ma è buffissimo, è straordinario! Sei stata salvata! In più sei arrivata dentro una scatola di un dolce natalizio… quasi come un regalo di Babbo Natale!» rispose Cesarino.
«Adesso non esageriamo. Comunque siamo arrivati, questa è casa mia, puoi entrare se vuoi, la porta è sempre aperta» miagolò Isobel «Cioè: è sempre sempre aperta per chi ho voglia di fare entrare» precisò la gatta.
Cesarino si appiattì al pavimento «Come sempre aperta? Vuol dire che c’è qualcuno che te la lascia aperta da dentro? A me non piacciono tanto gli sconosciuti, non mi piace farmi toccare dagli umani che non conosco…»
«Non preoccuparti, il mio umano è chiuso in un’altra stanza di là, a quest’ora lui registra e ne ha per un po’; conosco bene i suoi orari, non preoccuparti».
I due gatti entrarono dalla gattaiola, era un grandissimo gesto di ospitalità quello di Isobel far entrare Cesarino dalla sua gattaiola e Cesarino ne fu molto riconoscente. Isobel sembrava una gatta un po’ scorbutica e selvatica ma in realtà era molto gentile, almeno con lui, forse l’aveva preso in simpatia. In ogni caso Cesarino sperava di poter ricambiare.
Penetrarono discretamente nell’ampio salone di Isobel (nel salone dell’umano di Isobel per chi preferisce), sulla destra una cucina all’americana e in basso il tappetino con le sue ciotole d’acqua e di crocchette (Cesarino ne avrebbe sgranocchiata volentieri qualcuna ma non si permise, si accontentò di annusarne l’odore), subito di fronte a loro un grosso divano ad angolo grigio, a sinistra una bella libreria su dove sembrava interessante arrampicarsi.
Ma la parte più affascinante era dall’altra parte della stanza
«Vieni, ti faccio vedere, ma non toccare niente, annusa e basta» disse Isoble, contenta di aver acceso l’interesse del suo ospite.
Cesarino annuì e la seguì curiosissimo.
In fondo alla stanza era sistemata una grande scrivania una un grosso PC, due grandi schermi, grandi amplificatori, grande sedia dove farsi delle grosse e saporite pennichelle. E fin qui niente di particolarmente eccitante, quello che invece era davvero intrigante era ciò che era meticolosamente sistemato accanto e dietro la scrivania.
«Proprio così, il mio umano è un musicista come puoi dedurre dalla quantità di strumenti che vedi qui. Quei piedistalli si chiamano rastrelliere e sopra ci sono sistemate le chitarre… senti quanti odori» disse Isobel compiaciuta.
Cesarino non aveva mai visto o annusato un posto del genere e non voleva certo perdere l’occasione. Contava ben ordinate almeno una decina di chitarre, tutte diverse, e se gli interessava poco il “bello o brutto” nel senso umano, sentiva delle fragranze che non gli era mai capitato di annusare prima ed erano veramente straordinarie: legno, metallo, lacca, vernice, sudore… che voglia di strofinarcisi!
Tutto là dentro, ovviamente, oltre che dell’umano portava l’odore di Isobel visto che da anni accuratamente si strofinava in ogni angolino per ben segnare il suo territorio.
Era tutto davvero incredibilmente interessante.
«Ho capito adesso! Ecco perché hai riconosciuto tanto facilmente la canzone che canticchiavo prima!» disse Cesarino.
Isobel era sempre più compiaciuta, ma si sa che i gatti oltre che essere
dei gran ruffiani sono anche vanitosi e amano raccontar di sé, Isobel
raccolse la palla al balzo.
«Il mio umano lavora di là, nella stanza insonorizzata dove registra le sue creazioni, ci sta chiuso per delle ore. Ma quando prova o dà lezione o si rilassa, è qui, quindi c’è sempre musica o che suona lui o che ascolta dallo stereo e alla fine sono diventata una buona specialista anch’io… e comunque chi non la conosce Stairway to heaven? Bellissimo brano, grandissima band»
«Eh sì, i Led Zeppelin piacciono molto anche a me e alla mia umana, anche lei ascolta sempre musica»
«Allora mi piace anche la tua umana; e lei suona uno strumento?»
«Mah insomma, diciamo “mica tanto”»
«Peccato.
Quando il mio umano suona in questa stanza io mi sistemo sul divano, mi accoccolo nell’angolino che è il mio posto preferito. Si sta bene, al calduccio ed ascolto. Lui è molto bravo sai. Al di là che si prende cura di me, si preoccupa per me, ma dico che è molto bravo come musicista e mi fa ascoltare sempre della buona musica. Ogni tanto quando lascia la chitarra sdraiata sul divano io mi strofino sulle corde per fargli piacere» ridacchiò Isobel divertita «Lui pensa che non mi strofino sulle sue chitarre quando sono sulla rastrelliera, dice che è vietato… che illuso! Ma io mi strofino su tutte e quando voglio.»
«Gli umani non immaginano nemmeno cosa facciamo quando non ci vedono! Come hai detto che si chiama il tuo umano?»
Isobel salì sul divano, si stiracchiò e prese posizione nel suo angolino, Cesarino restò rispettosamente sul tappeto.
«Non te l’ho detto. Si chiama Gianluca.» rispose Isobel orgogliosa.
«Allora siamo fortunati, anche la mia umana si prende bene cura di me, mi prende sempre crocchette di ottima qualità, mi riempie di attenzioni, mi lascia libero di vivere le mie avventure e ascolta buona musica… ma tu cosa intendi per “buona musica”?»
«Di qual è la “buona musica” ne parleremo la prossima volta, è quasi l’ora, Gianluca sta per uscire».
Cesarino guardò fuori dalla finestra e vide che ormai era buio. La strada per tornare a casa era facile, bastava seguire il canale, ma effettivamente mancava da un pezzo e la sua cena (oltre che la sua umana) lo aspettava.
Si avvicinò alla gattaiola lanciando uno sguardo alla ciotola di crocchette di Isobel, degustandole nuovamente dall’odore.
«Sono contento di averti incontrato. Grazie per il giro nel tuo quartiere e soprattutto grazie per avermi fatto annusare la stanza delle chitarre, a presto!»
«Ringrazia i Led Zeppelin, se non avessi canticchiato un loro brano un paio di graffiate non te le avrebbe tolte nessuno… torna a trovarmi straniero!»
Cesarino partì e canticchiando Stairway to heaven rientrò a casa dove dei bocconcini al tacchino lo aspettavano nella ciotola, ma non mancarono certo i rimproveri della sua umana per essere rincasato a buio fatto.
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